La ribellione dei Bersaglieri e l'intervento della Regia Guardia - Terza parte
La rivolta
Il gruppo di ribelli, organizzati e armati, fece irruzione al corpo diguardia della caserma, che garantiva vigilanza e controllo dell’accessoprincipale, prendendo in ostaggio l’ufficiale di picchetto in servizionotturno. Assalito il personale del corpo di guardia, quasi tutto colto nelsonno, svegliati e radunati altri commilitoni, i ribelli neutralizzarono unadecina di altri ufficiali rimasti in caserma e altri militari contrari allarivolta, imprigionandoli. Furono tagliati i collegamenti con l’esterno eforzata l’armeria, da cui furono asportate altre armi e munizioni, eposizionata una mitragliatrice davanti al portone d’ingresso; più tardi, nesarebbero state poste a difesa altre due in posizione sopraelevata. Gli insortidedicarono, poi, le loro attenzioni al garage-officina che conteneva cinqueautoblinde, due delle quali in piena efficienza. Quasi tutti i militari, armatie non, si radunavano in cortile tra le grida inneggianti alla rivoluzione,spari e discussioni animate.
Non tardarono ad arrivare all’esterno alcuni cittadini incuriositi, mentre solomolto dopo, vennero allertati i comandi delle forze dell’ordine e militari, chediramarono dispacci urgenti agli alti comandi a Roma. Verso le sei del mattinoiniziò l’accerchiamento alla struttura; nel frattempo, alcuni ufficiali deibersaglieri cercavano di convincere gli assediati a desistere dai loropropositi bellicosi. Constatata la loro riottosità, il Generale in comando DeVecchi ordinò il posizionamento delle forze militari, costituite da unbattaglione di Carabinieri intorno alla caserma, e delle artiglierie inposizione elevata rivolte contro di essa. Si dispose, inoltre, affinché laReale Marina facesse affluire urgentemente rinforzi a Pesaro.
Il Questore Scorzone, dal canto suo, che aveva il coordinamento dicontingenti delle Regie Guardie, dei Carabinieri e del Regio Esercito lungo levie di accesso, perla costituzione di posti di blocco e il posizionamento diarmi automatiche, schierò ulteriori forze per controllare gli eventi. Iniziaronoi primi scambi di colpi di fucile, intervallati da brevi pause, mentre gliinsorti cominciarono a predisporre una autoblinda per l’uscita dalla caserma.Verso le nove una folla, composta perlopiù di donne e bambini inneggianti allarivoluzione, che fraternizzavano coi militari, si pose davanti al portone. Traquesti, alcuni giovani riuscirono ad entrare, uscendone armati con fucili,bombe a mano, mitragliatrici Fiat e Maxim a nastro.
La sollevazione popolare
In città la situazione stava precipitando. Fin dal mattino spontaneamentela popolazione si era armata, con fucili da caccia e moschetti (depredati invarie zone della città),e aveva preso d’assalto case e piccole caserme delcircondario, militari e poliziotti isolati. Si susseguirono vari episodi divera e propria rivolta popolare: vennero assaltati e depredati altri presidimilitari isolati, il che permise di fa affluire ulteriori armi e le munizioniin dotazione ai ribelli che reagirono sparando ai Carabinieri e le RegieGuardie che li contrastavano, causando così le prime vittime anche tra lapopolazione civile. In alcuni luoghi, ove si registrò maggiore resistenza, comealla caserma delle Regie Guardie della ferrovia, assaltata nel pomeriggio,scaturì una sparatoria cruenta, fortunatamente senza vittime.
Nel frattempo, i dimostranti crearono barricate per impedire l’arrivo diCarabinieri e Regie Guardie nella zona di Porta Pia, ove fu posta dagli insortiuna mitragliatrice che sparava incessantemente, manovrata dalle mani esperte diun militare unitosi ai rivoltosi. In via Nazionale, venne ucciso l’AgenteInvestigativo Luigi Cristallini, che riconosciuto mentre passava vicino ad ungruppo di manifestanti fu assalito, picchiato, disarmato e ucciso con due colpidi pistola, probabilmente esplosi dalla sua stessa arma d’ordinanza.
Gli insorti, scappati di fronte alla reazione delle forze dell’ordine, trasferirono la violenza nei sobborghi e nelle cittadine vicine di Marche, Umbria e Romagne, soprattutto a Jesi, Osimo, Tolentino, Macerata, Fabriano e Pesaro. Il 26 giugno a Cesena, l’Agente Investigativo Gennaro Gigli morì pugnalato da un anarchico, mentre si recava al Commissariato presso il quale prestava servizio. A Jesi i moti insurrezionali si svolsero in maniera più organizzata riproponendo la medesima escalation vista in precedenza: sciopero generale, assalto a presidi militari o dei carabinieri, interruzioni delle comunicazioni, asportazioni di armi e munizioni, barricate e, laddove si presentava resistenza, cruenti scontri a fuoco. In uno di questi furono impegnate, il 29 giugno, le Regie Guardie al comando del Maggiore Ettore Fulgenzi, provenienti di rinforzo da Venezia. Fatti segno del fuoco della fucileria dei ribelli annidati sui tetti e nelle case, subirono gravi perdite registrandosi, nell’occorso, la morte della Guardia Eugenio Masotto e il ferimento del suo collega Giuseppe Troso. A Pesaro, in particolare, venne assaltata una polveriera, poi liberata dai Carabinieri, e attaccata una caserma dalla quale venne respinta la folla a fucilate. Il bilancio fu di un morto e due feriti. Al Colonnello Trapani, che aveva ordinato di sparare sui rivoltosi, fu incendiata la casa con i dentro familiari, che a stento riuscirono a salvarsi. Cento Regie Guardie mandate di rinforzo a Pesaro con una nave salpata dal porto del capoluogo dorico, ricongiuntesi con altre provenienti da Chiaravalle (AN), ristabilirono finalmente l’ordine.
Epilogo
Il tragico risultato della rivolta aveva visto cadere sul campocomplessivamente 26 morti, 11 tra le forze repressive e 15 tra i civili; iferiti ammontavano a 79, 11 tra le forze dell’ordine e 68 tra i rivoltosi (talenumero è da ritenersi verosimilmente superiore perché molti semplicemente preferironofarsi curare in casa per non avereproblemi con la giustizia).
Nei giorni delle sollevazioni svoltesi in diverse cittadine venneroferiti, anche mortalmente, numerosi appartenenti alla Polizia. Ad Ancona perironoil Vice Commissario d'Aria Pierantonio, il Vicebrigadiere Fargioni Sante, ilTenente Rolli Umberto, l’Agente Investigativo Luigi Cristallini e a Jesi laGuardia Masotto Eugenio. I nomi dei caduti erano inscritti su una lapide, postaall'interno della locale Questura che ne ricordava l’estremo olocausto. Neglianni ’80, trasferita la sede in una nuova struttura logisticamente più idonea,la lapide è stata rimossa.