Articolo interno de “La Tribuna Illustrata” del 14 gennaio 1894 che spiega tutte e tre le tavole rappresentate.
I CASI DI SICILIA
Dedichiamo i nostri disegni a colori ai dolorosissimi casi di Sicilia, dei quali i giornali politici continuano a narrare tanti episodi. I nostri lettori ne conoscono le origini. Da due o tre anni tutta l’isola — non escluse le più piccole e più remote borgate — si è andata seminando di Società popolari, dette Fasci dei lavoratori, aventi un programma nettamente socialista. Più che le vaghe promesse di questo programma utopistico, han contribuito ad accrescere forza ai Fasci due ordini di fatti: in primo luogo, la tristissima condizione di que’ contadini, di que’ mezzadri, di que’ carusi (operai delle miniere di zolfo), condizioni veramente inumane che fanno vergogna all’Italia intera; in secondo luogo, le rovinose amministrazioni locali, nelle quali il partito che è al potere crede lecito ogni sopruso, ogni angheria contro il partito vinto, compresa quella di accumulare le tasse sopra gli avversari per esonerarne gli amici. Codest’agitazione, che andava serpeggiando da tempo, accennò a prorompere di questi giorni. Bande tumultuanti, con alla testa le donne ed i fanciulli, percorsero i paesi, gridando abbasso le tasse, bruciando le garette delle guardie daziarie, saccheggiando o devastando le residenze municipali, gli uffici del registro e delle imposte, gli edifizi postali e telegrafici, le preture, ecc. In qualche luogo, la rivolta passò al saccheggio ed all’incendio di case private ed anche ad atti di violenza personale. Dove la forza pubblica poté resistere, vi furono scene dolorose con effusione di sangue. Il Governo, preoccupato, conferì tutti i poteri al generale Morra di Lavriano, comandante il corpo d’armata di Palermo, col titolo di Regio Commissario straordinario per la Sicilia; e questi proclamò lo stato d’assedio. Buon nerbo di truppe d’ogni arma vennero inviate in Sicilia, richiamandosi all’uopo taluni contingenti delle classi in congedo 1869 e 1868, per portare l’effettivo delle forze militari nell’isola a 50mila uomini. Degl’infiniti episodi di questa deplorevole ed insensata rivolta, ne abbiamo illustrati due. Il primo è l’incendio di Pietraperzia, popolarissima borgata in provincia di Caltanisetta, avvenuto il primo di gennaio. I lettori ne conoscono i particolari. Essendo i carabinieri troppo scarsi di numero per proteggere efficacemente le proprietà contro la folla furibonda, dovettero limitare l’opera propria alla difesa della caserma. Ma intanto la folla attaccò simultaneamente tutti gli uffici pubblici, e vi appiccò il fuoco: poi passò alle case private, cominciando da quella del Sindaco, e potè compiere l’opera sua vandalica. Dopo poche ore quasi tutto il paese era ridotto ad un mucchio di rovine! La mattina del 3 gennaio fu arrestato in casa sua, a Palermo, il deputato Giuseppe De Felice Giuffrida, che è, se non il capo, certo uno dei capi del movimento socialista siciliano. L’arresto fu eseguito in casa del De Felice, da due delegati di pubblica sicurezza, i quali gli mostrarono un ordine del R. Commissario generale Morra. L’on. De Felice, fatta inserire in verbale una sua protesta per violazione della immunità parlamentare, presente un amico suo l’avv. Marchesano, non oppose resistenza. Nel medesimo giorno furono arrestati gli altri principali capi dei Fasci di Sicilia, convenuti quel giorno a Palermo per un Congresso. Giuseppe Da Felice Giuffrida è un tipo singolare di agitatore politico. Una tragedia domestica lo lasciò a 15 anni orfano, a Catania. Fu impiegato in questura ed in Prefettura: ma, dedicatosi tutto alle idee socialistiche, abbandonò l’ufficio e si gettò nel giornalismo e nella propaganda. Organizzò i Fasci dei lavoratori, prima a Catania, poi in tutta l’isola. Ebbe numerose persecuzioni, processi, duelli, condanne, esigli. Nel 1892 fu eletto deputato. È ancor giovane - ha poco più di trentaquattro anni - è di modi molto gentili, di carattere allegro, espansivo e simpatico. È aiutato nella sua propaganda rivoluzionaria dalla figlia, una bellissima giovinetta di quindici anni, che veste sempre di rosso. L’arresto del De Felice portò seco quello del sacerdote Don Urso, in Roma, il quale custodiva (egli pretende senza sapere il contenuto) un bauletto di carte che apparteneva al De Felice.