La ribellione dei Bersaglieri e l'intervento della Regia Guardia - Seconda parte

- Presidenza Nazionale - Massimo Gay
Cartolina postale, sullo sfondo la struttura della caserma sede dell'11° Reggimento Bersaglieri.

             

                                                   L’11° Reggimento Bersaglieri


La Caserma Villarey di Ancona era, ed è tuttora, intitolata  al Generale piemontese, Maurizio Rey di Villarey, caduto a Custoza nel 1866. La  città e il suo porto, già anteriormente al Primo Conflitto Mondiale, venivano  considerati un importante obiettivo militare nonché strategico ed erano,quindi, sede di numerose caserme dell’Esercito e della Marina. Nel periodo inesame la città dorica era anche la sede dell’11° Reggimento Bersaglieri,  comandato dal Colonnello Alessandro Paselli, composto di tre Battaglion  il  27°, il 33° e il 39°.

La ‘dieta nittiana’ aveva previsto l’eliminazione dell’11° Reggimento. Come da disposizioni ministeriali, infatti, il 39°Battaglione (da ora in poi Btg.) dei Bersaglieri avrebbe dovuto essere sciolto subito; sorte che sarebbe toccata, in seguito, anche a uno degli altri due battaglioni superstiti, il 27°, individuato da Paselli, mentre il 33° Btg. sarebbe stato posto a disposizione per essere incorporato in un altro reggimento.

Intanto, nell’arretrata e feudale Albania, le cose si stavano mettendo male per il Regio Esercito. L’11 giugno 1920, dopo che nel mese di febbraio il neo costituito governo Delvino aveva trasferito la Capitale a Tirana, era ripartita l’offensiva albanese che espugnò alcuni presidi, ponendo in grave difficoltà il comandante delle truppe di occupazione, Generale Settimio Piacentini che, fallita la possibilità di una rapida rioccupazione, chiese urgentemente rinforzi a Roma. In Italia, nel frattempo, i partiti di opposizione avevano preso posizione con interventi di viva protesta a sostegno dell’antimilitarismo. Soprattutto dalle pagine dei loro organi di stampa, veniva rilanciata la mobilitazione popolare in favore della pace e contro l’inutile spargimento di sangue. Parole d’ordine erano: “Via da Valona”, “Via dall’Albania”.

Il giorno 10 giugno, a Trieste, la tanto invocata mobilitazione del popolo si espresse in una sommossa, la cui scarna cronaca fu la seguente: «partecipano alcuni Arditi antimilitaristi, è contrastata dalle truppe supportate da squadre di fascisti e di nazionalisti; ucciso il sottotenente degli Arditi Antonio Spanò.». Non senza difficoltà, gli ufficiali comandanti riuscirono a far partire solo una parte dei militari destinati a dare il cambio al contingente d’Albania.


"Il proclama dell'unità e dell'indipendenza dell'Albania con la protezione e l'amicizia dell'Italia, è stato pubblicato in mezzo a grande concorso di popolo..."La Tribuna illustrata" del 17-24 giugno 1917, n.24.

Il 19 giugno il Ministro della Guerra Ivanoe Bonomi, facente parte del neo insediato governo Giolitti, emanò una disposizione di contrordine, inerente alla sorte dell’11° Reggimento, secondo la quale il 33° Btg. sarebbe dovuto partire alle prime luci dell’alba del 26 giugno 1920 a bordo di due bastimenti mercantili, con equipaggi della Regia Marina, alla volta dell’Albania. Il contingente sarebbe stato composto di quattrocento uomini: tutti gli appartenenti al 33° e una parte del 27° e del Corpo Automobilistico provenienti da Treviso. Il contingente del 17° fanteria che era giunto in caserma la sera prima della partenza da Ascoli Piceno, rimaneva per compiere i servizi di corvè. L’ordine di partenza era stato ricevuto dal Comandante Divisionale, Generale Luigi Tiscornia che, nella tarda serata del 24 giugno, lo ratificò al Colonnello Paselli. Questi, rassicurato il superiore, tornò ai propri alloggi decidendo di metterne al corrente ufficiali e soldati all’indomani. La mattina seguente, radunati gli uomini e comunicata la notizia, le reazioni furono opposte. Mentre gli ufficiali, eccitati per l’inaspettata possibilità di carriera, si dichiararono favorevoli, i soldati, almeno quelli più anziani che non vedevano l’ora di congedarsi dopo trenta-quaranta mesi di ferma, si lamentarono di dover partire per la guerra. Si erano appena salvati da quella conclusa e ora rischiavano seriamente di ammalarsi, oppure di morire di malaria o per un colpo di mitraglia in Albania. Preoccupati, ne discussero animatamente tra loro; mentre i più risoluti, tra cui il bersagliere Monaldo Casagrande, decisero di passare all’azione per scongiurare il pericolo su di essi incombente.

Dopo che nella giornata avevano avuto luogo varie attività preparatorie  alla partenza, quali la distribuzione delle armi senza munizioni, la  sistemazione degli zaini con uniformi, buffetterie ed effetti personali, e si  stavano  avviando i preparativi per l’ultima libera uscita in territorio  italiano, alcuni militari si misero in contatto con i rappresentanti delle Cameredel Lavoro e con vari esponenti socialisti e anarchici per ricevere aiuto e  consiglio sul da farsi. Questi diedero subito il loro appoggio, assicurando per  l’indomani la dichiarazione dello sciopero generale e l’indizione di comizi e  cortei per impedire la loro partenza durante il passaggio verso l’imbarcadero.  Non si sa se tali rassicurazioni convinsero effettivamente i militari, fatto  sta che alcuni di loro organizzarono una rivolta in caserma, probabilmente  confidando nel supporto degli altri elementi della truppa e nel sostegno  popolare promesso.


Madame de Thebes

In città, intanto, la serata trascorreva serenamente. Al teatro delle  Muse stava per essere rappresentata La Madame  de   Thebes, spettacolo di successo che calamitava semplici cittadini al paridi autorità civili e militari. Nei pressi del teatro vari capannelli di personesi  dirigevano lentamente verso la sala. A vigilare su di essi vi erano i  Commissari di P.S. D’Arpe e Colbertaldo e il Maggiore dei Reali Carabinieri  Gullotti che furono inaspettatamente avvicinati da un giovane. Si trattava dell’Agente  investigativo Domenico Pistone che, preposto alla raccolta delle  informazioniper conto della locale Questura, incaricato di tale delicatissimo servizio inincognito, si era avvicinato loro, tanto da rischiare di far saltare la  sua  copertura, segno che ciò che aveva da dire era di estrema importanza. Egli sul  momento riferiva, secondo la testimonianza resa poi, davanti ai Giudici, dal  Commissario Luigi Colbertaldo, di avere appreso durante una chiacchierata in un  bar di un certo malumore fra alcuni bersaglieri circa la partenza perl’Albania. Congedato il Pistone il Commissario si ripromise di avvisare il  Comandante del Reparto, ma giunto a teatro non lo trovò. Il Pistone  contrariato  dall’atteggiamento del superiore, capo di Gabinetto del Questore, avrebbe  dichiarato nella sua deposizione in aula di aver testualmente pronunciato le  seguenti parole: «Badi, signor commissario, ho saputo che questa notte si  ammutineranno i bersaglieri che devono partire per l’Albania, e che questa rivolta  era capitanata dagli ufficiali. Gli dissi pure che vi era un capitano il quale,  secondo le informazioni assunte, era disposto a metter una mitragliatricedavanti alla porta perché i bersaglieri non fossero partiti per l’Albania».

Più tardi alcuni ufficiali, terminato lo spettacolo a cui avevano  assistito, rientrarono verso l’una ai propri alloggi in caserma senza  registrare nulla di anomalo. Verso le tre del mattino, invece, ebbe inizio la  ribellione.