La ribellione dei Bersaglieri e l'intervento della Regia Guardia - Seconda parte
L’11° Reggimento Bersaglieri
La ‘dieta nittiana’ aveva previsto l’eliminazione dell’11° Reggimento. Come da disposizioni ministeriali, infatti, il 39°Battaglione (da ora in poi Btg.) dei Bersaglieri avrebbe dovuto essere sciolto subito; sorte che sarebbe toccata, in seguito, anche a uno degli altri due battaglioni superstiti, il 27°, individuato da Paselli, mentre il 33° Btg. sarebbe stato posto a disposizione per essere incorporato in un altro reggimento.
Intanto, nell’arretrata e feudale Albania, le cose si stavano mettendo male per il Regio Esercito. L’11 giugno 1920, dopo che nel mese di febbraio il neo costituito governo Delvino aveva trasferito la Capitale a Tirana, era ripartita l’offensiva albanese che espugnò alcuni presidi, ponendo in grave difficoltà il comandante delle truppe di occupazione, Generale Settimio Piacentini che, fallita la possibilità di una rapida rioccupazione, chiese urgentemente rinforzi a Roma. In Italia, nel frattempo, i partiti di opposizione avevano preso posizione con interventi di viva protesta a sostegno dell’antimilitarismo. Soprattutto dalle pagine dei loro organi di stampa, veniva rilanciata la mobilitazione popolare in favore della pace e contro l’inutile spargimento di sangue. Parole d’ordine erano: “Via da Valona”, “Via dall’Albania”.
Dopo che nella giornata avevano avuto luogo varie attività preparatorie alla partenza, quali la distribuzione delle armi senza munizioni, la sistemazione degli zaini con uniformi, buffetterie ed effetti personali, e si stavano avviando i preparativi per l’ultima libera uscita in territorio italiano, alcuni militari si misero in contatto con i rappresentanti delle Cameredel Lavoro e con vari esponenti socialisti e anarchici per ricevere aiuto e consiglio sul da farsi. Questi diedero subito il loro appoggio, assicurando per l’indomani la dichiarazione dello sciopero generale e l’indizione di comizi e cortei per impedire la loro partenza durante il passaggio verso l’imbarcadero. Non si sa se tali rassicurazioni convinsero effettivamente i militari, fatto sta che alcuni di loro organizzarono una rivolta in caserma, probabilmente confidando nel supporto degli altri elementi della truppa e nel sostegno popolare promesso.
In città, intanto, la serata trascorreva serenamente. Al teatro delle Muse stava per essere rappresentata La Madame de Thebes, spettacolo di successo che calamitava semplici cittadini al paridi autorità civili e militari. Nei pressi del teatro vari capannelli di personesi dirigevano lentamente verso la sala. A vigilare su di essi vi erano i Commissari di P.S. D’Arpe e Colbertaldo e il Maggiore dei Reali Carabinieri Gullotti che furono inaspettatamente avvicinati da un giovane. Si trattava dell’Agente investigativo Domenico Pistone che, preposto alla raccolta delle informazioniper conto della locale Questura, incaricato di tale delicatissimo servizio inincognito, si era avvicinato loro, tanto da rischiare di far saltare la sua copertura, segno che ciò che aveva da dire era di estrema importanza. Egli sul momento riferiva, secondo la testimonianza resa poi, davanti ai Giudici, dal Commissario Luigi Colbertaldo, di avere appreso durante una chiacchierata in un bar di un certo malumore fra alcuni bersaglieri circa la partenza perl’Albania. Congedato il Pistone il Commissario si ripromise di avvisare il Comandante del Reparto, ma giunto a teatro non lo trovò. Il Pistone contrariato dall’atteggiamento del superiore, capo di Gabinetto del Questore, avrebbe dichiarato nella sua deposizione in aula di aver testualmente pronunciato le seguenti parole: «Badi, signor commissario, ho saputo che questa notte si ammutineranno i bersaglieri che devono partire per l’Albania, e che questa rivolta era capitanata dagli ufficiali. Gli dissi pure che vi era un capitano il quale, secondo le informazioni assunte, era disposto a metter una mitragliatricedavanti alla porta perché i bersaglieri non fossero partiti per l’Albania».
Più tardi alcuni ufficiali, terminato lo spettacolo a cui avevano assistito, rientrarono verso l’una ai propri alloggi in caserma senza registrare nulla di anomalo. Verso le tre del mattino, invece, ebbe inizio la ribellione.