Le mirabolanti imprese de " er macellaretto"

- Massimo Gay

IlMaresciallo delle Guardie di Città Domenico Marcellini detto “er macellaretto”,fu lo spauracchio e l’incubo della malavita romana, incise talmente sulle vite deimalviventi che questi gli dedicarono una strofa di una famosa canzone popolare:

Amore, amore, manname'na pagnotta
che er vitto der Coeli nun m'abbasta.
Che er vitto der Coeli nun m'abbasta.
Se nun te sbrighi me ce trovi l'ossa.

E gira e fai la rota
qui dentro rinserrato,
si nun me viè' l'aiuto,
rimano senza fiato.

Giovenottini de lamalavita,
nun lo cantate più gira la rota.
Nun lo cantate più gira la rota,
perché er governo ve l'ha proibita.

E gira e fai la rota,
la rota del carretto,
allegri giovenotti,
hanno ammazzato er macellaretto.

Dentro Reggina Coelic'è 'no scalino,
chi nun salisce quello nun è romano.
Chi nun salisce quello nun è romano,
nun è romano ne tresteverino.........

Ma“ er macellaretto” non era morto come si auguravano, anzi, continuava adimperversare su di loro con eccellenti risultati per la Questura di Roma, offrendomateriale copioso ai giornali dell’epoca. Vi racconto la sua storia.

Finoai 18 anni Domenico aveva fatto il macellaio (da qui il suo soprannome) e avevaavuto rapporti d’amicizia o semplice conoscenza coi delinquenti di Trastevere edi altri Rioni romani, poi si arruolò nella Guardia di  Finanza, imbarcato su una nave che pattugliavail lago di Garda, dove si distinse subito contro i contrabbandieri.

Tornatoa Roma, da congedato al termine della ferma, si rimise a fare il macellaio. Nel1890, non si sa se gli affari non andassero o avesse nostalgia dell’azionecontro i malviventi, fatto sta che si arruolò nella Pubblica Sicurezza, frescadi riforma, e destinato alla 1^ Brigata Investigativa della capitale, cheeffettuava servizio in  borghese. Si misein evidenza da subito, mentre tornava dal palazzo della Prefettura, dove pochiminuti prima era stato arruolato. A porta Angelica venne invitato a puntare sule “tre carte”; consegnò la posta, un biglietto da cinque lire,  poi si chinò raccolse le carte e “invitò” itruffatori, tenuti per il bavero delle giacche, a seguirlo in Questura. Aveva,secondo le cronache dell’epoca, una forza erculea in netto contrasto con la suafigura “piccola e brutta”. La sua storia è costellata di gesta avventurose, diepisodi, a volte tragici a volte simpatici, e di imprese notturne per i vicolidi Roma.

Unpericoloso malvivente, Oreste Mazzacani, ammazzò, in via dell’Orso, con sette coltellateun ragazzo, figlio di un tranviere, che non aveva voluto pagargli un caffè.L’omicida si era rifugiato in un bordello in vicolo del Soldato e DomenicoMarcellini lo andò a cercare. Entrato nella sala comune lo riconobbe, ma questiriconobbe lui e saltò precipitosamente dalla finestra, senza esitare ilpoliziotto lo seguì piombando nel cortile di un’osteria, battendo un piedenella caduta provocandosi una contusione dolorosissima, nonostante ciò afferròl’omicida tenendolo contro un muro in attesa dei “colleghi”. In primo gradol’accoltellatore prese 22 anni di reclusione.

Eancora, dopo complicate indagini scoprì gli autori, i fratelli Mancurti, delfurto della cassaforte rubata in casa del principe Colonna, e li arrestò. Comearrestò alcuni falsari che, in una vigna presso porta Salaria, avevanoimpiantato una fabbrica di monete d’argento false  irrompendo, moschetto alla mano, da unafinestra al primo piano arrampicandosi su una vecchia scala a pioli. O comequella volta che avuta la certezza della colpevolezza di un noto rapinatoredetto “il Moro di porta Trionfale” arrestò lui e tutti i suoi complici. Un“poliziotto d’altri tempi”, magnifico rappresentante di una esigua vecchiastirpe di investigatori che hanno il mestiere nel sangue. Un grande poliziotto,che con il suo incessante lavoro assicurava alla giustizia rapinatori,assassini e semplici ladri.

Un’altravolta un famoso accoltellatore si trovava nascosto in una casa di Trastevere,il Marcellini lo seppe e ci andò da solo. Bussato alla porta una voceall’interno domandò: “Chi è, che volete” e l’altro calmo: “Sò er macellaretto”,dopo un mormorio un’altra voce disse: “Sor Domenico hai portato l’amici?” (leguardie) “Macché amici pé ‘tte abbasto da solo, sbrigate a scenne giù si nòsfascio la porta”. Dopo qualche secondo di silenzio  la porta si aprì e il malvivente uscìpresentando i polsi dicendo: “Vengo perché sei solo,  si tu portavi l’amici, ne puncicavo quarcuno”. 

Leretate notturne erano la sua specialità, fiutava i pregiudicati a cento metridi distanza, “come un cane fiuta la selvaggina”. Durante il pattuglione, nellanotte semi buia, ad un tratto si allontanava in direzione dei vicoli,raccomandando alle guardie di stare attenti al fischietto. Poco dopo, infatti, sisentivano voci concitate che rompevano il silenzio e dopo poco un fischio. Ipoliziotti accorrevano e trovavano il Marcellini che teneva stretti per ilcollo due individui mentre altri tentavano di liberarli, e si finiva tutti allecamere di sicurezza. Altre volte stava ad origliare alla porta di un’osteriadove sembrava tutto silenzio, e avvalendosi di una leva, forzava la porta entrandoin un ambiente scuro illuminato solo da qualche fiammella, qui vi trovavaalcuni pregiudicati ai quali mostrando il pugno nerboruto diceva: “Chi se movel’acciacco come un rospo”. Iniziava la perquisizione, con l’ausilio delle altreguardie, e conoscendoli tutti per nome, mentre li perquisiva domandava notiziedella famiglia, del fratello pregiudicato, del padre in galera, sequestrandorasoi, coltelli, trincetti e grimaldelli. Talvolta non trovando nulla addossoai perquisiti diceva: “Ahò, perché me fate perde tempo?”. Poi cominciava atastare i mattoni del pavimento che potevano celare un ripostiglio, alla finerivoltando un tavolo o un banchetto esclamava: “Allora li cortelli stannoqua!”, infatti vi si trovavano infissi 5 o 6 “mollette” (coltelli a scatto dicirca 25 cmdi lama) e si ripeteva la sfilata alle patrie galere.

Eraun fisionomista eccezionale, una volta in via dei Serpenti riconobbe fra ungruppo di brutti ceffi, un pregiudicato colpito da mandato di cattura. Sebbenefosse solo, li affrontò facendo affidamento solo sulla sua vigoria fisica.Afferrò il malandrino per la giacca, mentre gli altri gli si facevano intorno;uno di questi, tirato fuori il coltello, gli vibrò un fendente al basso ventreche lacerò i pantaloni, per difendersi lasciò l’arrestato, che nellaconcitazione scappò. Estratta la rivoltella il Marcellini reagì sparando allagola all’assalitore e poi lo portò all’ospedale, undici giorni dopo questi eraguarito e di nuovo per strada.

CaioAntenni, famoso e temuto pregiudicato del rione Ponte, dopo aver regalato duecoltellate al solito “amico”, si era rifugiato nei pressi di Fiumicino.Sconosciuto alla popolazione, di giorno se ne andava in giro liberamente sottoil naso dei Carabinieri, la sera si rifugiava nella capanna di tale Ciccutello.Una notte qualcuno bussò alla porta della casa dicendo: “Ciccutè, apri” equesti credendo fosse un amico, aprì. Svegliato dal rumore l’Antenni riconobbesubito la figura de “er macellaretto” dicendo: “Siete voi sor Domè?” e l’altro:“So io, annamo!” e in silenzio, rassegnato, lo seguì.

Inun’altra occasione si trovava alla stazione dei treni a vapore diretti a  Tivoli, ed osservò una persona ben vestita chelo insospettì. Il modo di portare sul braccio il soprabito oltre all’atteggiamentostrano con il quale si avvicinava alle persone, Domenico lo seguì e lo fermò. Questi,un elegantissimo signore straniero si qualificò per giornalista francese, mavenne comunque portato in Questura per accertamenti. Tempo dopo, da Parigi, siseppe che era un famoso borsaiolo e assassino.

Un’altrasua qualità era la tenacia, non mollava mai! Quando in via dei Prefetti, pressola casa di una ricca signora, venne effettuato un furto di oltre centomila lirein titoli e denaro contante, i giornali parlarono a lungo dei “soliti ignoti”criticando l’operato della Polizia.  Svoltele sue indagini Domenico Marcellini si travestì da frate con una lunga barba bianca, e arrivato in viale Parioli entrò in unacasa in costruzione dove sapeva essere uno dei ladri. Qui, fra un gruppo diuomini individuò tale Capobianchi e gli si avvicinò. Questi lo guardò ericonosciutolo sorridendo esclamò: “Te ce sei vestito puro da frate…” e loseguì in Questura. Per chiudere l’indagine mancava però la refurtiva che non sitrovò, e questa volta Domenico temette di aver preso un granchio. Appreso percaso che il detenuto rifiutava il cibo, ebbe la certezza che fosse stato lui dicendoal suo interlocutore “Ha l’impianto!”. L’impianto in gergo era un tubettod’argento che nascondeva la refurtiva e veniva riposto in un orifizio “ove iltacere è bello”.

Quindi,si fece chiudere in cella “ar Coeli” (Regina Coeli) con l’arrestato, e gli tennecompagnia per due giorni, sorvegliandolo di ora in ora. Al terzo giorno didigiuno il malvivente  confessò e vennefuori pure il “cannelletto”, tutto ossidato, che conteneva una parte dellarefurtiva, riconsegnata poi alla legittima proprietaria.

Innumerevolivolte encomiato e gratificato Domenico Marcellini, matricola n. 58 del Corpo delleGuardie di Città, nel 1901 è promosso Sottobrigadiere. Nel 1902 é decorato di medagliadi bronzo al Valor Militare, in occasione dell’intervento e l’arresto del portieredella casa del principe Massimo in piazza S. Pantaleo, il quale impazzitoimprovvisamente lanciava bombe nell’atrio del palazzo in corso VittorioEmanuele, tirando revolverate sulla folla incuriosita. Il poliziotto,disarmato, si gettò tra la polvere e i calcinacci mentre veniva fatto segno dauna revolverata che gli bucava la falda del cappello e gli procurava unaleggera ferita alla fronte. Raggiunto lo sparatore ingaggiava con lui unacolluttazione atterrandolo, infine, con una ginocchiata al basso ventre. Il 1°marzo 1907 è  promosso Maresciallo diP.S. ed il 1° agosto dello stesso anno é insignito della medaglia d’argento alMerito di Servizio, istituita per legge l’anno precedente, conseguita per isuoi 15 anni di anzianità. Nel 1908 amareggiato, si disse, per una mancatapromozione, ponderò di allontanarsi dalla Polizia, per andare a fare il caposorvegliante nella tenuta del principe Torlonia, a S. Benedetto dei Marsi (AQ).Poi un giorno si ammalò, ed a nulla valsero le visite e le cure mediche procuratedal senatore Angelo Annaratone, ex Questore della capitale, il quale si adoperòmolto per assicurargli, affinché guarisse, il consulto di illustri clinici e leterapie mediche necessarie. Oltre a ciò, ad arte furono propalate calunnie neisuoi confronti, proprio nel momento in cui le forze venivano meno e gli mancaval’energia vitale per difendersi.

Morivail 10 settembre 1910 e la sera del 12 ebbero luogo a Roma i funerali. Sul carrofunebre trainato da cavalli oltre all’uniforme e al berretto vi erano numerosecorone di fiori ed era seguito da parenti, autorità, amici, funzionari di P.S.,ufficiali e due plotoni, rispettivamente in testa e in coda, di Carabinieri edi Guardie di Città in alta uniforme. Giunto alla Dogana di Termini fece sosta,come era usanza all’epoca, per effettuare le orazioni funebri lette dalCommissario Giovanni Rostagno. Condivido qui la parte finale: “Commilitoni delpovero morto, che qui siete convenuti a rendergli gli estremi onori, non viturbi l’anima alcun sospetto: Domenico Marcellini fu umile eroe; egli merita lastima e la riconoscenza di tutti gli onesti. Presentate le armi alla suaSalma!”.

Soloa morte avvenuta alcuni maldicenti insinuarono che fosse lui stesso un delinquente,sfruttatore di donne. Fosse stato vero, spiace dirlo, non avrebbe lasciato ifamiliari senza il sostegno dello stipendio né della pensione, quasi allamiseria. Fortunatamente, su interessamento di qualche filantropo, due suoifigli furono avviati in collegio dove poterono studiare.

Fuseppellito a Roma al cimitero del “Verano”, fossa n.9 fila n.1, posto n.25, poidopo dieci anni è stato esumato e posto nell’ossario comune.

Riposain pace Sor Domè.